La riflessione sul tema di questo Campo è un ulteriore momento di una ricerca iniziata alcuni anni or sono sul problema non solo di un rinnovamento del pensiero teologico delle nostre chiese ma anche della loro organizzazione.
Già nello ‘atto di autonomia’ del 1962 si afferma che nella chiesa c’è un solo sacerdozio, quello della predicazione dell’Evangelo, e che non esiste il sacerdozio “detenuto esclusivamente da un ordine particolare o da una particolare categoria di uomini.”
Nella Conferenza Metodista del 1975, nel campo biblico dello stesso anno, e successivamente nella Conferenza del 1976, si individua lo spazio di azione delle nostre chiese nella contrapposizione della predicazione dell’Evangelo alla cultura dominante cattolica. In questo quadro si ritiene che il compito del pastore si configuri “come strumento di aggregazione comunitaria”, con il conseguente rifiuto di “ogni ruolo sacrale e tentazione individualistica”. Nel presente campo, lungo la linea della elaborazione sopra ricordata, si è cercato di affrontare i seguenti temi:
- Struttura. Nell’ambito di un discorso sulla ecclesiologia, essa risulta essere ripetizione di moduli predeterminati affidata ad un gruppo elitario di persone, che ne curi e garantisca la trasmissione. La chiesa però nel suo organizzarsi non può affidarsi a tale modalità, in quanto suo compito è la predicazione dell’Evangelo, che “non equivale a trasportare nella nostra realtà, in modo automatico, una determinata testimonianza biblica” (Campo biblico 1977).
Il riferimento biblico è per noi senza dubbio ineliminabile, ma ciò comporta numerosi problemi: per esempio, la presenza nello stesso Nuovo Testamento di varie e diversificate interpretazioni della figura di Gesù ci costringe a mettere in discussione il quadro teologico e concettuale ritenuto ancora oggi intangibile. L’evento del “Dio che non può essere posseduto”, del Dio che Gesù di Nazareth rivela come agape, in contrapposizione al Dio raggiungibile attraverso ‘eros’, è da rivivere nella nostra situazione strorico-culturale, alienante proprio perché ripetitiva di valori obsoleti. - Ministeri. Nelle chiese di cui il Nuovo Testamento dà notizia v’è varietà di ministeri, frutto di situazioni ed ecclesiologie diverse: non vi è quindi un unico modello riproducibile. Tuttavia storicamente si è verificato con solo il prevalere di alcuni ministeri su altri, ma gli stessi sono stati cristallizzati come momenti pedagogici (ripetitivi), e inevitabilmente ridotti a strumenti di mediazione.
Ogni tipo di mediazione sacrale è inaccettabile, anche se questa costantemente si riproduce nella vita dell’uomo; riteniamo invece accettabili quei momenti di mediazione” tecnica ove essa, in vista di una lotta contro le alienazioni della cultura dominante, si configuri come strumento di aggregazione comunitaria, e sia sottoposta a verifica da parte dell’assemblea.
Un aspetto del permanere di una mediazione sacrale sembra essere il riferimento ad una vocazione ‘speciale’, all’interno di una più ampia rivolta a tutti i credenti. Pur nei limiti della nostra analisi riteniamo che il riferimento alla vocazione ‘generale’ di tutti i credenti sia mezzo insostituibile per combattere la presunzione dell’esistenza di una casta elitaria, sacra ed intangibile per volontà divina. - Evangelizzazione. Nel quadro della ‘vocazione generale’, i ministeri nella chiesa sono pertanto una risposta di servizio. Ci sembra che le varie forme in cui questo servizio si organizza debbano tendere ad aggregazioni in vista della lotta per la liberalizzazione del popolo dai condizionamenti culturali e religiosi che lo opprimono: questo ci pare essere oggi evangelizzazione.
Contattiamo che le attuali strutture delle nostre chiese non sono funzionali a tale scopo perché rivolte – nella maggioranza dei casi – ad una edificazione fine a se stessa della comunità. Di fronte alla “grave ora di disorientamento e di sfiducia che il paese attraversa, in cui si manifestano da una parte tentativi di restaurazione del cattolicesimo romano tradizionale e dall’altra parte ricerche di illusorie certezze in nuovi culti o movimenti spiritualistici” (odg sulla evangelizzazione non è offrire la sicurezza religiosa che la gente chiede, ma annunziare il Cristo che libera. Ciò comporta però avere il coraggio di vivere la ‘nuova nascita’ anche sul piano delle nostre strutture, elaborandone di nuove e credibili.
Riconosciamo di non avere soluzioni pronte a questo riguardo: pure dobbiamo tentare nella vita concreta delle nostre chiese di attualizzare quel sacerdozio universale dei credenti che al tempo della Riforma costituì elemento di rottura di una situazione cristallizzata, e di apertura verso un nuovo cammino.
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