mercoledì 6 agosto 2008

La predicazione nel nostro tempo

Ecumene, 19-25 settembre 1977

Il Convegno di pastori e laici che si è riunito ad Ecumene dal 19 al 25 settembre 1977, in seguito all’invito della ultima Conferenza, per un esame del problema della predicazione nel nostro tempo, ha affrontato i seguenti temi:

  • la questione del canone biblico
  • una valutazione della critica biblica e delle problematiche ad essa connesse
  • una panoramica delle più recenti analisi scientifiche condotte sulla Bibbia e degli interrogativi che esse pongono.

Il dibattito si è articolato intorno a questi punti:
  1. Tenendo conto dei risultati sinora acquisiti dalla ricerca biblica è possibile affermare che la Bibbia è una raccolta di testimonianze di fede nel Dio vivente e, in quanto tale, gli scritti, sia dell’Antico che nel Nuovo Testamento intendono essere un annuncio di ciò che, nella fede, è stato compreso e vissuto come intervento di Dio nelle vicende degli uomini.Non deve sorprendere perciò il fatto che nel Nuovo Testamento (sul quale l’assemblea si è particolarmente soffermata) abbiamo a che fare non con delle testimonianze diverse, la cui diversità è dovuta non tanto alla personalità degli autori quanto, piuttosto, alla situazione oggettiva in cui le chiese dell’epoca si trovavano a testimoniare dell’evento della rivelazione.

    Questo carattere degli scritti neotestamentari (come peraltro di quelli dell’Antico Testamento), comporta che è illusorio pretendere di incontrare direttamente, chiaramente e inconfondibilmente la Parola di Dio nella sua immediatezza; al contrario essa si fa “…conoscere in maniera velata, nascosta, contraddittoria: perché la sua Parola sia e rimanga veramente la Parola di Dio riconoscibile soltanto nel mistero della fede.” (Subilia, Sola Scriptura, pag. 45, Claudiana, Torino 1975 )


  2. C’è una ragione di ordine storico per poter insistere sulla necessità e attualità del riferimento alla Bibbia: la civiltà occidentale, nelle sue grandi linee, è costruita su valori presunti cristiani, la cui portata mistificante può essere smascherata soltanto attraverso una attenta analisi scritti biblici.
    C’è poi, soprattutto, una ragione di ordine teologico: in diverse tradizioni bibliche cogliamo una proclamazione dell’evento della rivelazione, che è l’evento di Gesù di Nazareth.

    In questo senso parliamo oggi di ‘Sola Scriptura’. Dunque non nel senso che sia possibile riferirsi alla Bibbia in modo acritici, ritenendo come canonico, cioè normativo, tutto ciò che è contenuto nelle sue singole parti: in essa i sono degli scritti (per esempio le lettere pastorali in cui l’acento viene posto particolarmente sulla chiesa e sui problemi della sua organizzazione) il cui centro non è più la proclamazione dell’evento.


  3. Da quanto detto finora, PREDICARE non equivale a trasportare nella nostra realtà in modo automatico una determinata testimonianza biblica ma rivivere l’evento di Gesu di Nazareth nella nostra situazione storica. “Cosa sia Evangelo non è cosa che lo storico decide una volta per tutte; Evangelo è ricerca e decisione del credente condotto dallo Spirito Santo nell’ascolto e nella lettura della Scrittura.” (Gioventù Evangelica, Nº 20, pag. 7)

    Appare evidente che ogni ricerca di una linea di predicazione è intrinsecamente legata ad una prassi, cioè ad una scelta di vita della comunità.
    Tale prassi veniva già indicata dalla Conferenza del 1968 come promozione del processo di liberazione dei minimi dallo sfruttamento, e nei documenti delle Conferenze e dei Convegni pastorali del 1975 e del 1976, sintetizzata nei termini di contrapposizione del messaggio dello Evangelo alla cultura dominante ‘cattolica’.

    In concreto, ciò significa che oggi le nostre chiese devono essere momenti non tanto di aggregazione religiosa quanto, piuttosto, di aggregazione comunitaria per una predicazione che si opponga vigorosamente alle spinte, già in atto, verso una società totalizzante: e cioè una societa che, per la sua stessa struttura e per le logiche che ne derivano, tende ad emarginare e ad espellere i’diversi’, ossia coloro che non si collocano all’interno delle sue istituzioni e dei suoi schemi di vita, fuori dai quali – si afferma da più parti – ci sarebbero, solo fenomeni di disordine o addirittura si sovversione, che vanno repressi per difendere lo ‘stato democratico’.


Questo discorso non convince: infatti, da una parte non si comprende come possa dirsi ‘democratico’ uno stato che nega il diritto alla ‘diversità’, dall’altra, nella nostra situazione, lo stato che si vuole difendere non riesce ad assicurare neanche quei servizi fondamentali per un normale svolgimento della vita associata: quindi il costante riferimenti allo ‘stato democratico’ è di fatto una sorta di ‘mitologia’.

In questo contesto, la predicazione della ‘libertà del cristiano’ è un contributo concreto per la realizzazione del diritto all’esistenza dei ‘diversi’ in quanto tali, e nel contempo una lotta per l’affermazione della verità contro ogni ‘mito’: pertanto, veramente liberatoria.

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